1967 – Strawberry Fields Forever / Penny Lane

Dovendo scegliere una canzone soltanto dei Beatles – ma perché poi? – è difficile non individuare in Strawberry Fields Forever il brano perfetto. Perché racchiude in sé il massimo dell’arte, della sperimentazione, del salto nel futuro del gruppo. Certo, se la giocherebbe con A day in the life, ma rispetto a questa viene prima, è praticamente una condizione necessaria perché poi si possa arrivare a A day in the life, al disco che la contiene, a tutto quanto. Strawberry Fields Forever è, fra tutti, il brano che – a volerne individuare effettivamente uno solo – cambia le regole del gioco. Un game changer, come si dice in questi casi. Certo, prima c’era stata Tomorrow never knows, ma stavolta Lennon fa qualcosa di futuristico e allo stesso tempo accessibile. Un capolavoro pop, insomma. Ma andiamo per ordine.

Il pezzo nasce a settembre del 1966. John si trova in Spagna, ad Almeria. Lontano dagli altri, sta girando un film con Richard Lester, How I won the war, un bel film antimilitarista e surreale. Anche da questa scelta emerge il cambiamento in atto, Lennon si espone per la prima volta su temi al di fuori da quelli “consentiti” da Brian Epstein e per la prima volta appare nel film con gli occhialini tondi che saranno parte integrante della sua iconografia. Il primo provino è una ballata acustica solo voce e chitarra, George Martin lo trova commovente, ma è solo l’inizio di un viaggio che porterà la canzone molto lontano da quelle poche strofe e quel cantato incerto. I Beatles cominciano a lavorarci insieme il 24 novembre, la versione finale viene completata il 22 dicembre. In mezzo 26 take, esperimenti, tentativi, taglia e cuci (la versione finale stessa è in effetti il collage di due take in tonalità e tempi differenti, unite da George Martin rallentandone una e velocizzando l’altra fino a farle incontrare il 59′ secondo è il punto di contatto). E poi sovraincisioni, il quartetto d’archi e gli ottoni diretti da George Martin, George che oltre alle chitarre aggiunge il suono di uno swarmandal, una sorta di arpa indiana, Ringo che suona una delle sue più belle parti di batteria. E ovviamente, l’introduzione di Paul al mellotron, una sorta di antenato dei campionatori che può riprodurre il suono di intere orchestre, un nuovo giochino che i quattro non conoscono bene (sono stati i Moody Blues a farglielo conoscere) ma al quale Paul “chiede” un suono di flauto che diventa il tratto distintivo della canzone, la porta d’accesso al mondo cantato da John. Un luogo che prende spunto dall’infanzia – Strawberry Field era il nome di un orfanotrofio dell’Esercito della Salvezza a Liverpool, non lontano da dove abitava Lennon – ma diventa il posto dove nothing is real, dove Lennon si accomoda consapevole della propria unicità (no one I think is in my tree), sono un genio o un pazzo? Nostalgia e surrealismo si sovrappongono, realtà e fantasia si confondono (but you know I know when it’s a dream) e sicuramente gli acidi fanno la loro parte.

L’altra canzone del primo singolo del 1967 dei Beatles è Penny Lane. L’autore è Paul e la canzone non potrebbe essere in effetti più diversa da Strawberry Fields Forever. Diversa ma in effetti con non pochi punti di contatto. Anche qui lo spunto è un ricordo nostalgico dell’infanzia. Penny Lane stava fra la casa di John e quella di Paul. Era citata anche in una prima stesura di In my life. McCartney ne tratteggia una descrizione che è solo in parte aderente alla realtà, eppure la galleria di personaggi è indimenticabile, dal barbiere al pompiere, dal banchiere all’infermiera, i doppi sensi con le allusioni sessuali da ragazzi di strada di Liverpool (a four of fish and finger pies) e quel meraviglioso there beneath the blue suburban skies. Un pezzo incredibile che Paul regge completamente su una delle sue linee di basso migliori, assecondato da un arrangiamento sontuoso e barocco realizzato con George Martin e con la chicca di quella tromba solista che rende il pezzo ancora più memorabile e verrà citata anche dai Tears for Fears in Sowing the seeds of love. La suona Dave Mason, componente della Royal Philarmonic Orchestra. Una sera, Paul sta ascoltando in tv l’esecuzione dei Concerti Brandeburghesi di Bach. Sente la tromba piccola di Dave Mason e la vuole su Penny Lane. Vuole proprio lui. Martin lo contatta, lui arriva in studio e al primo colpo realizza l’assolo alla perfezione. In realtà Paul vorrebbe rifarlo ma un incrocio di sguardi con Mason e Martin lo spinge a desistere. Mason ha fatto quello che doveva, Penny Lane ha il suo fiore all’occhiello.

Strawberry Fields Forever e Penny Lane erano, in origine, i primi due brani di un concept dedicato ai luoghi dell’infanzia dei Beatles. Il progetto non decollerà e le due canzoni, su decisione di George Martin, resteranno comunque fuori dall’album successivo. Alla casa discografica serve un singolo e questo è un singolo super, il miglior 45 giri della storia del rock (lo è), un doppio lato A. Proprio il giochino del doppio lato A sarà decisivo per la beffa più clamorosa, il miglior 45 giri della storia del rock (lo è) che si ferma al secondo posto in classifica (primo numero 1 mancata per il gruppo dai tempi di Love me do) perché le vendite vengono sostanzialmente contate in parte per Strawberry in parte per Penny Lane, come se si trattasse di due singoli diversi. Ad approfittarne sarà Engelbert Humperdinck con la sua imperdibile e da quel momento memorabile Release me.



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