1968 – Hey Jude / Revolution

Il primo singolo con il logo della mela per la loro nuova etichetta Apple non fu un pezzo banale. Non che in quel periodo se ne uscissero con cose banali ma, ecco, il primo singolo fu Hey Jude. Paul lo scrisse con in mente Julian, il figlio di Lennon, quando i genitori – John e Cynthia – si stavano separando. John aveva conosciuto Yoko e ormai facevano coppia, Paul era preoccupato per Julian e mentre andava a trovarlo improvvisò un testo di incoraggiamento. Hey Jules, don’t make it bad, take a sad song and make it better. Jules diventò Jude e inseguito Lennon pensò di essere lui stesso il destinatario di quel discorso, “mi incoraggiava ad andarmene, a lasciare il gruppo”. Uhm, no. Ma Lennon era così convinto di leggere fra le righe del testo di Paul che lo convinse a lasciare il verso nonsense the movement you need is on your shoulder, per lui aveva un senso, lui capiva.
Comunque ne venne fuori un pezzone epico, un numero uno ovviamente destinato a diventare un classico. Paul al piano e soprattutto una coda di na na na na e battimani che coinvolge il gruppo e i musicisti dell’orchestra (tranne uno che si rifiutò) e Macca che si diverte a tirar fuori dalla sua voce i colori più soul fino a dilatare il pezzo oltre i sette minuti. Le radio non si fecero problemi a passarlo senza tagli e oggi a nessuno verrebbe in mente un tale ipotetico scempio.

And anytime you feel the pain, hey Jude, refrain,
Don’t carry the world upon your shoulders.

John Lennon si sente davvero stretto nei panni dei Beatles. C’è il Vietnam, ci sono i giovani in piazza ma i Beatles non si esprimono. Sono contro la guerra ma non ne parlano se non messi alle strette, pare su suggerimento di Brian Epstein. Ma questo è il Sessantotto e Epstein non c’è più, come si fa a non parlare? Lo chiede la stampa e lo chiedono i ragazzi in piazza. E poi Lennon vuole parlare, vuole rispondere a quella richiesta d’impegno. Nasce così Revolution, strepitoso lato B di Hey Jude.

When you talk about destruction, don’t you know that you can count me out. I Rolling Stones, più o meno negli stessi giorni, celebrano lo Street fighting man, i Beatles – portavoce Lennon – si tirano fuori dall’assecondare le violenza per un fine superiore. In realtà John ci pensa da un po’ prima di esprimersi. Di Revolution esiste già una versione – acustica, lenta – che finirà poi sul White Album. E lì è ancora indeciso, canta don’t you know that you can count me out aggiungendo anche in. Ma quel pezzo non lo convince, non solo per il testo, ancora in deciso, ma anche per l’arrangiamento. Ne vuole fare una versione arrabbiata, che funzioni per il prossimo singolo. Ed eccola la Revolution migliore, un urlo punk all’inizio, chitarre sature come mai in un pezzo dei Beatles e il piano di Nicky Hopkins. Cade l’indecisione sul farsi coinvolgere nella rivolta violenta ma cade anche la possibilità di avere Revolution come lato A. Paul ha già pronta Hey Jude e la gara è persa in partenza, troppa distanza di potenziale commerciale.

If you want money for people with minds that hate
All I can tell you is brother you have to wait


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