1971 – Imagine

Mentre Paul sbanda senza grande costrutto, la carriera di Lennon sembra già lanciata quando – al suo secondo vero e proprio album solista – infila il secondo capolavoro, Imagine. Curiosamente, il disco contiene al tempo stesso i momenti forse musicalmente più maccartiani del post-Beatles e i testi più duri contro Paul. Per John, si tratta solo di una versione “ricoperta di cioccolata” di John Lennon / Plastic Ono Band. Forse sì, per certi versi, ma non solo. Quell’album – come All things must pass era un grande disco, ma fra le tracce di Imagine si sente per la prima volta, in un disco dei quattro, la grandezza del suono e della scrittura che erano stati dei Beatles. McCartney ci metterà ancora qualche anno a raggiungere questo risultato, Lennon – a riprova che la fine dei Beatles non sembra avergli tolto nulla, anzi – è già pronto.

La canzone che dà il titolo all’album finirà con il confondersi facilmente con gli altri grandi pezzi del canzoniere beatlesiano canonico, cosa che non accadrà mai a nessun pezzo degli altri tre (e nemmeno a John). Imagine è un brano semplice, per voce e pianoforte, con Klaus Voorman al basso, Alan White alla batteria e un accompagnamento d’archi (la New York Philarmonic Orchestra, ribattezzata Flux Fiddlers). Il testo, ispirato a una poesia scritta da Yoko Ono nel 1964, sarebbe diventato una sorta di manifesto per Lennon e ogni movimento per la pace da lì in poi. Crippled inside, un folk rock con Nicky Hopkins al piano e George Harrison alla chitarra resofonica, contiene le prime frecciate per McCartney: you can comb your hair and look quite cute
you can hide your face behind a smile, one thing you can’t hide is when you’re crippled inside
. Il terzo brano è un ripescaggio dal 1968. Allora si chiamava Child of nature, col titolo di Jealous guy diventa una delle più famose canzoni del Lennon solista. Con Jim Keltner al basso, i due Badfinger Evans e Molland alle chitarre acustiche, il pezzo sarebbe stato stucchevole cantato da chiunque ma non da John, che aveva un talento per queste confessioni in musica. Ascoltando questa canzone ho peraltro imparato a fischiare io stesso, da bambino. In ogni caso, a bilanciare il miele del pezzo ci pensa il blues classico a seguire, It’s so hard, che non fosse per gli archi dei Flux Fiddlers sarebbe stato bene anche su Plastic Ono Band e sfoggia addirittura il sax di King Curtis. La traccia conclusiva della prima facciata è una jam con tutta la band (compreso George alla chitarra slide) al servizio del messaggio di John: I don’t wanna be a soldier mama è un lungo elenco di no alle aspettative della società, un pezzo abbastanza fuori posto in questo album, un assaggio del Lennon che sta per arrivare.

La seconda facciata – che pure non contiene classici come Imagine e Jealous guy (o forse proprio per questo) – è anche superiore alla prima. Si apre con un ripescaggio dagli ultimi giorni dei Beatles. Gimme some truth era stata accennata più volte durante le Get Back Sessions, ma in questa versione definitiva – con la chitarra di George e il testo acido di John con l’attacco a Richard “Tricky Dicky” Nixon – diventa clamorosa, uno dei suoi brani più belli di sempre. Oh my love è invece un pezzo calmo, un lento simile a Look at me e Julia, scritto per Yoko ai tempi del White Album. La sua funzione nella tracklist sembra quella di far prendere fiato fra i due pezzi più duri e stronzi dell’album. Dopo infatti,anticipata da rumori di studio come Sgt. Pepper nel 1967, arriva How do you sleep?. La canzone è un duro attacco di John a Paul, talmente riuscito che non ridere alle spalle di Macca è quasi impossibile. The only thing you done was “yesterday” and since you’ve gone you’re just “another day” gli dice facendo riferimento alla sua canzone più famosa e al suo primo (e fino a quel momento effettivamente unico) singolo post-Beatles. Ancora più cattivo è il verso the sound you make is muzak to my ears you must have learned something in all those years, anche se effettivamente fino a quel momento il McCartney solista è abbastanza lontano dal proporre musica di livello. La canzone, a prescindere dal testo, è un capolavoro. Ottimo il lavoro di Spector, come sempre, che valorizza tutto, il basso di Voorman, il pianoforte elettrico di Nicky Hopkins, la chitarra di Harrison (che così magari si toglie qualche sassolino per il trattamento ricevuto da Paul). Vocalmente, una delle migliori performance di Lennon.
Tutta questa cattiveria si placa improvvisamente con How? – il pezzo più maccartiano mai scritto da John, probabilmente, quasi struggente ma sempre un passo indietro rispetto a certe mielosità di Paul – e un altro ripescaggio dal 1968, Oh Yoko!, con Spector ai cori e John che per l’occasione suona di nuovo l’armonica. Un country rock divertente che chiude l’album quasi ribadendo che solo per Yoko e con Yoko Lennon può placare la sua cattiveria, che sia contro il sistema, Nixon o Paul McCartney.


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